testo critico a cura di Marco Tomasini e Riccarda Turrina
Nella sala degli arazzi fiamminghi del Museo Diocesano di Trento il profano
si confronta con il sacro sul tema della natività. Tema delicato
in quanto ogni approccio di arte contemporanea a un'opera religiosa antica
implica un facile giudizio selettivo: il sacro non si tocca, non è
liberamente interpretabile, lo si può solo contemplare restando
soli con noi stessi, protetti dagli austeri ambienti museali che ci isolano
rispetto alla realtà esterna. Ma la natività fa parte del
quotidiano, fa parte di quel meccanismo biologico rimasto intatto dall'origine
del mondo. La tradizione vuole che Cristo sia nato in un ambiente umile
e quotidiano per quel tempo: in una stalla. Un evento sacro quindi inserito
in un luogo fortemente connotato dalla realtà.
Accanto all'arazzo della Nascita di Cristo scorrono su un monitor le fotografie
di Santi Oliveri. Due tessiture sono quindi a confronto: quella antica
e pregiata dell'arazzo (lana, seta e oro) e la moderna tessitura dello
schermo del monitor fatto di intrecci verticali e orizzontali di pixel
luminosi. Foto che indagano il presente alla ricerca di questo evento
che quotidianamente si ripete e che la nascita di Cristo simboleggia.
Il giovane artista è sempre stato affascinato dai "non luoghi"
metropolitani: stazioni, aeroporti, parchi: ambienti anonimi pubblici
e di passaggio nei quali egli, con un clic, immortala l'essenza emotiva
dell'individuo. Con discrezione si è aggirato nei reparti di maternità
degli ospedali focalizzando l'obiettivo alla ricerca di quell'alone magico
(messo in risalto dall'acceso cromatismo) che avvolge la nascita di un
bambino e tutto ciò che gli sta attorno. I gesti, gli sguardi di
venerazione dei personaggi dell'arazzo riecheggiano nelle stanze asettiche,
tra i complessi macchinari, sotto le luci fredde dei reparti, in cui vengono
al mondo le piccole creature frutto dell'amore dei genitori, moderni Giuseppe
e Maria.
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