Giulia Morucchio - Irene Rossini
Giulia Morucchio - Irene Rossini
Tirana - Albania
Il soggiorno è finalizzato alla raccolta di materiale, tramite interviste, ricerca d’archivio e sul campo, per creare una pubblicazione che raccolga le tracce dei dispositivi e delle strategie usati dai cittadini albanesi per aggirare il monopolio di programmi radio-televisivi gestiti dal partito comunista, al potere dal 1946 fino al 1990, e superare così, l’isolamento fisico e culturale in cui era tenuto il Paese. Nel corso della nostra permanenza in Albania, della durata di circa un mese, saranno organizzati regolari incontri aperti ad artisti e alla comunità locale, per raccogliere testimonianze dirette di queste tecniche. Quanto emerso, sarà poi raccolto in una pubblicazione, che racconti, in una sorta di storiografia minore, le forme di dissidenza domestica e clandestina attraverso i suoi oggetti-simbolo, come vinili e libri proibiti (e i metodi per farli circolare), antenne radio costruite in casa, canzoni dichiarate sovversive, etc.
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Ente invitante
Departamenti i Shqiponjave - Zyre projektesh per artet dhe shkencat humane (The Department of Eagles - Project bureau for the Arts and Humanities)
È una piattaforma non-profit di ricerca per le arti e le discipline umanistiche diretta e coordinata da Vincent W. J. Van Gerven Oei, con sede a Tirana in Albania. Attiva dal 2011, l'istituzione organizza convegni, mostre, promuove un'attività di residenza di ricerca per artisti e redige pubblicazioni disponibili in due lingue (inglese e albanese), al fine di stimolare una riflessione e contribuire al dibattito culturale sia all'interno che all'esterno al paese. Il Departamenti i Shqiponjave non ha una sede fisica stabile, bensì collabora - come avveniva anche per il progetto di Marcel Broodthaers - di volta in volta con diverse realtà culturali, spazi pubblici e privati, presenti nella capitale albanese.
Giulia e Irene si sono conosciute nel 2011, intente a studiare arti visive allo IUAV di Venezia. È qui che hanno scoperto di condividere alcuni interessi e, tra questi, la relazione che si instaura tra arti visive e architettura, le sperimentazioni sonore e l’editoria d’arte. Ora collaborano insieme a diversi progetti e si confrontano spesso anche rispetto a lavori individuali.
Siete appena arrivate a Tirana, per realizzare un progetto in collaborazione con il The Department of Eagles - Project bureau for the Arts and Humanities. Quali saranno le vostre prime mosse?
La nostra ricerca mappa la presenza italiana in Albania durante il periodo comunista, tracciando la storia di dispositivi costruiti o modificati artigianalmente e illegalmente per ampliare la ricezione degli apparecchi televisivi, e captare il segnale delle stazioni emittenti dal nostro paese. Purtroppo non esiste una bibliografia approfondita a riguardo: per noi era quindi essenziale essere qui e raccogliere le testimonianze di chi ha utilizzato, costruito o visto questi oggetti. Prima di partire abbiamo contattato persone che vivono a Tirana e che hanno contribuito, in modi diversi, a questa narrazione. Stiamo iniziando proprio da questi incontri.
Credete che le suggestioni dell’Occidente capitalista, che arrivavano dalle televisioni europee grazie alle strategie di aggiramento del monopolio di partito, abbiano inciso sul fenomeno dei flussi migratori dei primi anni ’90?
Boris Groys nota come l'Occidente, per i paesi Sovietici, sia prima di tutto uno spazio mitico, in quanto estraneo e inaccessibile. Inaccessibile assume, per l'Albania, un significato particolare, in quanto la dittatura albanese è stata tra le più chiuse, isolata non solo dall'Occidente, ma anche dal resto del blocco Sovietico. Hoxha difese i confini fisici del paese con un bunker monoposto per abitante e la purezza politica del regime accusando di revisionismo la Russia prima e la Cina poi. In questo clima, i volti, le canzoni, le voci che provenivano dall’Italia attraverso la radio e il tubo catodico, hanno svolto una funzione di presentazione di un altrove: non a caso in moltissime interviste chi ci racconta della tv italiana ce ne parla come di una “finestra sul mondo”. Se consideriamo il ruolo svolto dai media, italiani soprattutto, ma anche jugoslavi, nel mostrare un “altro”, anche se deformato e parziale, allora tv e radio hanno indubbiamente inciso sul nascente progetto migratorio. Purtroppo questo ruolo è stato semplificato, soprattutto dai media italiani, in una relazione diretta e svilente di causa ed effetto, che alimenta uno stereotipo che resiste tutt’oggi. Bisogna ricordare, poi, che i rapporti tra Italia e Albania hanno radici antiche: l'Albania è stata colonia italiana sotto il Fascismo (1939-1943), e la conquista del paese, prima di essere militare, è stata culturale. Attorno ai primi anni '30, colonie di Italiani venivano mandate in Albania per “fascistizzare” il paese, con la costruzione di scuole, cinema e infrastrutture, e l’utilizzo di un apparato iconografico o concettuale che sottolineava la somiglianza tra le due terre.
Che forma prenderà la vostra ricerca una volta fatto ritorno in Italia?
La nostra intenzione è quella di farne una pubblicazione. Non vogliamo, però, avere un'idea inflessibile di come debbano andare le cose e aspettiamo di elaborare i materiali raccolti per decidere come presentarli.
Come avete conosciuto il Departamenti i Shqiponjave di Tirana?
Come progetto di tesi Giulia ha fatto una ricerca sulla scena artistica albanese dopo gli anni ’90. Nel corso di un’intervista, l’artista Armando Lulaj le ha suggerito di tenere d’occhio le attività del Departamenti i Shqiponjave, segnalandola come una delle realtà più attente alla memoria storica del paese. Pensando che ci fosse affinità con la nostra ricerca, abbiamo quindi contattato il suo curatore Vincent van Gerven Oei, che si è subito dimostrato interessato a lavorare con noi.
Lo scorso dicembre è nato Agon Channel, canale italiano interamente prodotto a Tirana. Si tratta del primo caso di tv italiana delocalizzata e per questo se n’è parlato molto. Vi siete fatte un’idea a riguardo?
Agon Channel colpisce perché sembra una conclusione ironica della storia che cerchiamo di ricostruire: la televisione italiana non arriva più dall’altra parte del mare, non è più una presenza volatile, ma anzi si incarna in un luogo ben specifico della capitale albanese. In realtà, come hai notato tu, Agon Channel fa parte di un'attività più ampia di delocalizzazione di imprese, che in Albania trova mano d'opera a minor prezzo e una tassazione più favorevole rispetto all’Italia. Il canale televisivo fa parte di quella stessa dinamica per cui numerosi call center di aziende italiane che hanno scelto come sede Tirana.