Lisa Batacchi
Lisa Batacchi
Bombay - India
Il progetto "Soulmates within time" ha come centro una maglia e un fare artigiano, fulcri dai quali si dipanano, a raggiera, altrettante storia dove il privato diventa pubblico e viceversa. Lisa Batacchi dà vita ad una profonda ricerca sulla questione lavorativa e sul rischio concreto per il made in Italy di perdere i suoi artigiani e il suo know-how. La sua è una visione chiarissima: l’arte concettuale ha bisogno di tornare al lavoro sporco, utilizzando le proprie mani per mettere nuovi pensieri in questo tipo di produzione. E ‘un intento radicale che guarda indietro alla fine degli anni ‘60 e ‘70 e al pensiero utopico di condivisione e cura del mondo attraverso azioni collettive, come anche al lavoro domestico e al ruolo delle donne nei secoli come custodi segrete di potenzialità intime.
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Ente invitante
Clark House Initiative è una collaborazione curatoriale e unione di artisti con sede a Bombay con una solida storia di internazionalismo, sperimentazione e ricerca.
www.clarkhouseinitiative.org
Eccoci qui Lisa: who are you?
Ciao Andrea. La tua domanda, formulata in parte italiano in parte in inglese, mi fa sorridere in quanto mi ricorda il modo in cui io e mia madre dialoghiamo fra di noi in privato. In effetti sono nata a Firenze ma per metà americana da parte di madre. I miei nonni sono arrivati negli Stati Uniti d’America in parte dall’Ucrania in parte dall’Austria, Ungheria. Mi sento molto connessa alle mie origini e viaggiare o uscire fuori dai luoghi abituali mi aiuta ad immergermi in altri contesti e conoscere le varie altre parti di me.
Di cosa ti occupi?
Da circa tre anni sono completamente assorbita dai miei progetti artistici, per cui inevitabilmente sono occupata in un rapporto/scontro tra arte e mestiere, in quanto posizione
e valore dell’artista all’interno di un sistema e della sua “sopravvivenza” nel sistema stesso.
Parlaci del tuo progetto
“Soulmates (within time)”, è un progetto in corso nutrito su un tempo lungo dal rincorrersi di numerose coincidenze. Nato da un sogno, ci parla di persone attraverso le cose o meglio di cose che valgono in quanto catalizzatori e veicoli di relazioni. Dunque, al centro è una maglia, un fare artigiano e da questo fulcro, a raggera, si dipanano storie dove il privato diventa pubblico e viceversa. Un modo per riflettere sui rapporti ma anche sul “prodotto”, che in questo caso si sottrae ai ritmi del sistema della moda per guadagnare invece il tempo
necessario a “consumare” ogni incontro in quanto esercizio del sentimento. La ricerca è iniziata con il portare avanti una profonda ricerca sulla questione lavorativa e sul rischio concreto, a partire dall’ Italia, di perdere i suoi artigiani e il suo know-how. Di conseguenza ho sentito che l’arte concettuale ha bisogno di tornare al lavoro sporco, utilizzando le proprie mani per mettere nuovi pensieri in questo tipo di produzione. E‘ un intento radicale che guarda indietro alla fine degli anni ‘60 e ‘70 e al pensiero utopico di condivisione e cura del mondo attraverso azioni collettive, come anche al lavoro domestico e al ruolo delle donne nei secoli come custodi segrete di potenzialità intime. Il progetto è stato ulteriormente concettualizzato in seguito in alcune sue parti insieme all’artista Lapo Binazzi (UFO).
Che cosa ti aspetti da questa esperienza?
Nel periodo di residenza vorrei sviluppare lavori nuovi e collaborare con i Banjaras Gormati, che fino a poco tempo fa lavoravano tradizionalmente con la tessitura, ricami e maglieria e tra vivono di lavori occasionali nelle baraccopoli di Bombay. Insieme a Sumesh Sharma, co-curatore di Clark House Initiative, ci auguriamo di poter sostenere un programma di sensibilizzazione del pubblico in una mostra che intende includere il meno discusso e visibile.
Un saluto!