GIOVANE FOTOGRAFIA ITALIANA 2021 #RECONSTRUCTION
DAL 21 MAGGIO AL 4 LUGLIO A REGGIO EMILIA TORNA GIOVANE FOTOGRAFIA ITALIANA CON LA MOSTRA #RECONSTRUCTION
PROTAGONISTI SETTE ARTISTI SELEZIONATI DA UNA GIURIA INTERNAZIONALE
Dopo un anno di stasi, Reggio Emilia torna ad affermarsi, anche al di fuori dei confini nazionali, come città della fotografia: un primato che si riconferma per gli artisti più giovani grazie all’esperienza di Giovane Fotografia Italiana, progetto del Comune di Reggio Emilia dedicato alla valorizzazione dei migliori talenti della fotografia contemporanea under 35 in Italia.
Presente in rete con il nuovo sito gfi.comune.re.it che documenta le otto edizioni e gli oltre settanta artisti, prescelti nel corso degli anni attraverso una open call di una giuria internazionale, Giovane Fotografia Italiana presenta da maggio la sua ottava edizione, dedicata al tema RECONSTRUCTION che era stato concepito per l’edizione 2020 e che, riproposto oggi, assume ulteriori possibili sfumature e interpretazioni.
Nei giorni forse più bui del nuovo Millennio, in un distanziamento spiegabile solo dalla necessità di garantire la vita e la salute di tutti, occorre svolgere una riflessione su come poter ricostruire le nostre esistenze, riequilibrando anche il rapporto con il mondo naturale. E la fotografia può essere un linguaggio tra i più efficaci per ricostruire il passato, costruire il reale nelle sue multiple dimensioni, anticipare nuove visioni e un’idea di futuro.
DAL 21 MAGGIO AL 4 LUGLIO 2021 CHIOSTRI DI SAN DOMENICO VIA DANTE ALIGHIERI, 11 REGGIO EMILIA
INGRESSO LIBERO
ORARI SABATO - DOMENICA ORE 10 – 20
APERTURE SPECIALI ( in occasione di interventi musicali all’interno dei Chiostri di San Domenico ore 19)
21/05 ORE 16 – 20
02/06 ORE 10 – 20
lunedì 7/06 , mercoledì 9/06, lunedì 21/06, martedì 22/06, venerdì 25/06 h 18-21
sabato 22/ 05, sabato 29/05 , sabato 5 /06, sabato 12/06, sabato 19/06 h 10-21
SABATO 5 GIUGNO
ORE 18| visita guidata gratuita su prenotazione
Le modalità di accesso alla mostra e calendario degli eventi sono variabili in base al procedere della pandemia, nel rispetto delle disposizioni ministeriali e dei protocolli sanitari, e quindi consultabili sul sito http://gfi.comune.re.it e Facebook Instagram.
Dal 28 maggio 2021 una visita virtuale della mostra sarà disponibile sul sito
I sette progetti fotografici, selezionati, tra le 259 candidature, pervenute da tutta Italia, comprese quelle di cittadini stranieri attualmente residenti nel nostro Paese, rappresentano una polifonia di voci che si distinguono per l’originalità dell’approccio al tema che ha sfidato gli artisti a combinare fotografia e immaginazione per tentare una più autentica comprensione del reale, dimostrando che la fotografia è in grado di prendere parte ai processi conoscitivi non solo rappresentando la realtà osservabile con lo sguardo, ma anche, a partire da essa, ricostruendo il reale nelle sue molteplici dimensioni attraverso l’immaginazione.
LIQUIDO
L’acqua sogna se stessa.
Il concetto di identità, come la realtà stessa, si è moltiplicato, espanso, lasciando così spazio ad un mondo non ben definito. La fissità è sostituita da una varietà di forme possibili. Tutto può essere costruito e decostruito a nostro piacimento, avendo però come contrappasso una società sempre più individualista dove i legami sono sempre più liquidi e instabili. Nella contemporaneità occidentale, infatti, la società è sempre più fragile: l’individuo, distante dagli altri, è lasciato libero di autoaffermarsi, in una totale mancanza di punti riferimento a cui tendere, o in cui identificarsi. L’individuo è perciò liquido, può riaffermarsi continuamente a seconda delle sue fantasie, è un’entità che non riesce ad avere una forma propria, e assume quella del “recipiente” che lo contiene momentaneamente. Un’individualità quindi in continuo mutamento, capace di trovarsi dappertutto, ma che in nessun luogo resterà a lungo.
Domenico Camarda (La Spezia, 1990) è laureato in Scienze Della Comunicazione presso l’Università di Bologna e in Photography and Visual Design alla NABA di Milano. Nell’autunno del 2014 si trasferisce a Lisbona, dove ha la possibilità di poter lavorare per la casa editrice Pierre Von Kleist Editions e per la galleria Pedro Alfacinha. Durante queste esperienze ha modo di approfondire il suo interesse per la fotografia autoriale e per l’art publishing. Nel 2015 vive a Londra, dove lavora per la fotografa Amelia Troubridge sia come assistente, che curando l’editing e il layout delle sue ultime pubblicazioni. Attualmente vive a Milano dove lavora come freelance. La pratica artistica di Camarda esplora tematiche come la costruzione dell’identità individuale, interrogandosi su cosa significhi essere contemporanei oggigiorno. Creando una serie di immagini suggestive e oniriche, vuole porre domande e innescare riflessioni, piuttosto che dare semplici risposte. Il suo lavoro è stato esposto nazionalmente e internazionalmente, ed è stato selezionato nel 2019 da CAMERA, Centro Italiano per la fotografia, come artista per il secondo ciclo del progetto europeo FUTURES.
THREE THOUSAND TIGERS
Nel mondo esistono più immagini che rappresentano tigri che vere e proprie tigri viventi. Nel nostro immaginario le tigri sono molto comuni e sembrano essere ovunque: nei loghi delle case di moda, sulle scatole di cereali, sulle magliette… ma non lo sono. La tecnologia può cambiare il modo in cui noi percepiamo la realtà. Three Thousand Tigers è un tentativo di accrescere la fauna digitale di un animale in via di estinzione e si riferisce paradossalmente all’idea di salvare una specie. Il lavoro riflette sul parallelismo linguistico tra il mondo naturale e la produzione di immagini. Lavorando con un algoritmo generativo Irene Fenara crea nuove immagini, grandi nuovi animali e nuove specie che nascono dall’unione di tremila immagini di tigri, il numero di tigri viventi, che mantengono alla fine solo alcune caratteristiche dell’animale originale. Per imparare a riconoscere e riprodurre infatti un algoritmo generativo avrebbe bisogno di milioni di immagini, proponendogliene un numero minore i risultati si allontanano dal reale. Generare e riprodurre sono l’unico modo per salvare dall’estinzione naturale come da quella digitale, riflettendo sulla riproduzione di file e a come perdano qualità col tempo e col progresso di computer e software. Non si tratta solo di un cambiamento naturale ma è anche un cambiamento sullo stato delle immagini.
Irena Fenara (Bologna, 1990) è diplomata in Scultura e Arti Visive presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Finalista di diversi premi tra cui ING Unseen Talent Award (Amsterdam 2019), Premio Cairo (Milano 2019), Premio San Fedele (Milano 2017) e ha vinto la sezione Fotografia Contemporanea del Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee (Pieve di Soligo 2019). Tra le mostre personali ricordiamo Hey there, Tiger! UNA Galleria, Piacenza (2021); Distant Eyes Kunst Merano Arte (2019); Blinds and other Cloudings Spazio Leonardo, Milano (2018), Supervision a cura di Mauro Zanchi, BACO, Bergamo (2018).
NOWHERE NEAR
Quasi tutto quello che sappiamo sui confini lontani dell’Universo ci è arrivato tramite tradizionali messaggeri cosmologici. Alcuni sostengono però che esista un altro tipo di messaggeri – le stelle più veloci in assoluto, intrappolate nell’orbita dei buchi neri. Quando due galassie si scontrano, i buchi neri situati nel loro centro interagiscono in modo da scagliare via le stelle dalla galassia ad una velocità altissima, alcune stelle raggiungono una velocità tale da riuscire a sfuggire completamente dalla propria galassia. Se ci fosse un meccanismo per tracciarle, avremmo la possibilità di vedere stelle che viaggiano libere attraverso l’Universo. Questa è la storia di un uomo, un uomo alla fine di un lungo ed estenuante viaggio verso un posto sconosciuto, una terra immaginata che svanisce come un castello di nuvole una volta raggiunta.
Cosa rimane quando il sogno svanisce? Dove può cercare le risposte? Dove può cercare la strada per tornare a casa?
Nel tentativo di raccontare la storia di una persona che abbandona la sua terra, decidendo di seguire il suo sogno, spostandosi fisicamente da un posto all’altro e superando infiniti ostacoli, ho scoperto che questo sogno non sempre è solamente il desiderio di un futuro migliore: tante volte si trasforma in un incubo che si materializza
non appena il sogno si infrange, rimanendo per sempre una visione ricorrente di qualcosa che non potrà mai essere raggiunto. Il progetto esplora la questione della migrazione africana in Italia.
Alisa Martynova (Orenburg, Russia, 1994) dopo aver conseguito una laurea in Filologia nel suo paese natale, nel 2019 si diploma al corso triennale di fotografia professionale presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze. Durante gli studi ha lavorato come assistente del collettivo fotografico Riverboom. Nel 2018 presenta i suoi progetti fotografici al Leica Story, nel 2019 vince la sezione fotografia del Premio Combat Prize, diventa seconda classificata del Premio Canon Giovani Fotografi e proietta il suo lavoro durante la serata di apertura del festival Les Rencontres d’Arles. In autunno del 2019 viene selezionata tra i finalisti di Photolux Award 2019 e PH Museum Women Photographers Grant, vince Zine Tonic Book Award.
Nel 2020 viene nominata per il Leica Oscar Barnack Newcomers Award e il suo lavoro sulla quarantena Sleeping Pill viene selezionato per la mostra The World Within a Bruxelles. Nel 2021 è la vincitrice della categoria Portraits Series del World Press Photo Contest e il suo lavoro viene esposto ai festival come PhotoBruxelles 05 e Planches Contact. Il suo lavoro è stato pubblicato da Internazionale e Leica Fotografie International. Attualmente è fellow member dell’agenzia fotografica Parallelozero.
#ABRUXAUS
#Abruxaus è nato su Instagram come ironica denuncia sulla cronaca estiva degli incendi in Sardegna. Il titolo in sardo significa: “Che possiate bruciare vivi”, riferito ai piromani. Gli incendi dolosi costituiscono parte delle problematiche dell’isola, meta ambita soprattutto durante i mesi estivi, dove ognuno si augura di trascorrere indimenticabili
vacanze. Il progetto vuole rilevare i reali effetti della politica sull’ambiente, in un periodo storico nel quale tutti ne stiamo pagando le conseguenze. La società dei consumi crea un ambiente consunto. Concentrare unicamente le risorse di
un luogo sul turismo è un irresponsabile escamotage per adombrare non solo gli annosi disagi, ma anche le reali potenzialità socio-economiche dello stesso.
Francesca Pili (Benevento, 1986) dopo la triennale in Pittura a Bologna consegue la specialistica in fotogiornalismo presso l’Accademia di Napoli. Ha partecipato a diverse mostre collettive tra cui: What’s Going on to the Ladies Parlour, Magazzini Fotografici (NA); BìFoto fest Festival Internazionale Della Fotografia in Sardegna (Mògoro); Concorso Eneganart Indifferenza (FI). Nel 2019 #ABRUXAUS è stato pubblicato dal quotidiano francese Libération. Il suo lavoro artistico ha come interesse tematiche socio-ambientali.
THE LONG WAY HOME OF IVAN PUTNIK, TRUCK DRIVER
The Long Way Home of Ivan Putnik, Truck Driver presenta, nella forma di un diario visivo, la storia di Ivan Putnik, camionista russo impegnato nel suo lungo viaggio di ritorno a casa. Attraversando da un capo all’altro la Russia e le sue zone più remote, il protagonista scatta e annota una grande quantità di fotografie, di cui viene qui proposta una piccola
selezione. Tracce particolari, disseminate all’interno delle foto e del racconto instilleranno tuttavia, nello spettatore più attento, alcuni dubbi sulla veridicità di quanto presentato. Esplorando su Internet le mappe dei territori russi che si trovano più a nord del circolo polare artico, si scopre immediatamente che Google Street View è del tutto assente. In quei luoghi, le uniche immagini reperibili su Google Maps, sono fotografie sferiche caricate e geolocalizzate dagli utenti comuni. Molte di queste immagini meritano di essere viste, e The Long Way Home of Ivan Putnik, Truck Driver nasce proprio da questo intento. A partire dal sorprendente materiale visivo raccolto dagli autori e attraverso l’espediente della narrazione, il progetto fonde insieme i processi di adozione e rimessa in circolo delle immagini con quelli della risignificazione e della vero-fiction.
Questo lavoro d’archivio, oltre ad innescare alcuni ragionamenti sul mezzo fotografico, ha fatto emergere tematiche inaspettate che, senza un vero intento di denuncia, sono legate all’impatto antropico sul territorio, allo sfruttamento delle sue risorse, allo spostamento forsennato di materiali e merci, all’ambiente.
Vaste Programme è un collettivo nato nel 2017 dall’incontro tra Giulia Vigna (1992), Leonardo Magrelli (1989) e Alessandro Tini (1988). La loro ricerca si sviluppa negli ambiti della post-fotografia e dei nuovi media. In particolare, nella loro pratica, l’utilizzo di materiali e oggetti che appartengono all’esperienza quotidiana più comune e ai quali spesso non si fa caso, si combina con l’adozione e la rimessa in circolo di immagini trovate, per rivelarne aspetti imprevisti e nuovi significati.
I MADE THEM RUN AWAY
I Made Them Run Away è una storia a più livelli che intreccia assieme immagini di famiglia e fotografia con testi scritti dalla madre dell’artista. Raccoglie ricordi del passato e sentimenti del presente per indagare e documentare le dinamiche delle relazioni moderne – il bisogno di attenzione, le aspettative che causano disillusione, insicurezza e giudizio. I temi centrali includono l’amore, la fantasia, l’illusione e l’identità. Martina Zanin descrive il ricorrente complicato rapporto tra lei, sua madre e l'”uomo” – per lo più rappresentato come un’assenza all’interno del lavoro. Fantasticando su un uomo che non è mai riuscita ad avere, la madre dell’artista scrive i suoi pensieri e desideri all’interno di un diario intitolato “Lettere ad un uomo mai avuto”. Gli scritti così poetici, si scontrano con le fotografie di famiglia strappate, delle quali la madre conserva solamente la sua figura, o quella della figlia, creando degli oggetti saturi di rabbia e solitudine. Ogni altra foto è la ricostruzione interiore e l’espressione dei sentimenti passati che vengono a galla nel presente, documentando la fantasia e la realtà. Cosa significa per una bambina abitare con così tanti sconosciuti? Quanto queste esperienze passate hanno influenzato l’attuale modo di relazionarsi dell’artista? Il fruitore viene colpito da un sentimento ambivalente che si divide tra compassione e rabbia senza mai riuscire a prendere posizione tra le due protagoniste.
Martina Zanin (San Daniele del Friuli, 1994) è un’artista visiva. Ha ottenuto il diploma con lode in Fotografia presso ISFCI, Roma e il Master in Fotografia Contemporanea presso IED Madrid. Ha inoltre studiato Arti Plastiche e Scrittura Creativa
a Roma. Zanin è stata nominata per il Foam Paul Huf Award 2019 e per il C/O Berlin Talent Award 2020 ed è stata finalista di vari concorsi, tra cui: Lucie Foundation Scholarship, Fiebre Dummy Award, e New Visions Cotm con il lavoro I Made Them Run Away. Quest’ultimo è stato esposto in tre mostre personali e in mostre collettive a livello nazionale ed internazionale. Nel 2019 ha preso parte alla residenza d’artista SAM Residency Program. Il suo lavoro è stato pubblicato su Unseen Magazine, YET Magazine, Der Greif e Internazionale. Martina Zanin è rappresentata dalla galleria Studio Faganel di Gorizia, Italia. La sua pratica artistica è legata alle sue esperienze personali, affrontando temi tra cui la memoria, le relazioni e l’identità. Utilizza la fotografia associata ad altri media, creando una narrativa a più livelli all’interno della quale gli
spazi di narrazione e le percezioni si intrecciano. È vincitrice di Camera Work 2021, rassegna di giovane fotografia d’autore presso Palazzo Rasponi 2, e dell’avviso pubblico Cantica21. Italian Contemporary Art Everywhere, promosso dal MAECI e dal MiC, con l’installazione multimediale Older Than Love, che entrerà nella collezione permanente della Fondazione Modena Arti Visive, Galleria Civica di Modena. Nel 2019 prende parte alla residenza d’artista SAM Residency Program.
THE CREATION OF THE WORLD IS AN ORDINARY DAY
Esiste una nuova antropologia dell’immaginazione.
L’intensificarsi degli spostamenti della popolazione mondiale, le proposte immaginative veicolate dai media e il rimpicciolirsi delle distanze di un mondo ormai complesso hanno reso la fantasia un fatto sociale collettivo. Il fantastico ha valicato la soglia dell’arte, del mito e del rituale e si è riversato nel lavoro mentale della gente comune di molte società.
The Creation of the World is an Ordinary Day è un lavoro fotografico nato in Estonia e concretizzatosi nella forma della cartolina d’artista. Ispirato da un antico racconto baltico sull’origine del mondo, si basa sul ri-assemblaggio di frammenti semantici. Il racconto cosmogonico viene messo a dialogo con la piccola sacralità degli oggetti quotidiani. Evocazione di quel mistero sulla natura del tempo e della cultura che da sempre affascinano gli uomini, fin da tempi antichissimi.
Allo spettatore era chiesto di attingere dal proprio patrimonio personale di storie e racconti e di porre tale conoscenza a servizio di un nuovo rituale mediato dal prodotto artistico. The Creation of the World is an Ordinary Day mette in scena delle pratiche di scambio e reciproca interazione tra soggetti e prospettive culturali differenti. Una storia non ha luogo di nascita, può vagare da persona a persona, da una lingua a un’altra e quando ciò avviene la mente deve essere libera di riflettere e di cambiare in accordo a quel sapere. Il mondo è un contenitore di storie che sempre si ricreano e l’azione performativa è stata la formulazione di un nuovo racconto collettivo.
Elena Zottola (Maratea, 1995) è una giovane fotografa. Dopo gli studi artistici all’Istituto d’Arte Paolo Toschi di Parma, si trasferisce a Napoli dove consegue una laurea in Antropologia del Patrimonio e si avvicina alla fotografia attraverso la multidisciplinarietà della Scuola Elementare del Teatro di Davide Lodice. Nel 2018 ha un’esperienza di studio all’estero, presso l’Estonian Academy of Arts di Tallinn, dipartimento di Fotografia e Arte Contemporanea, durante la quale realizza
l’opera-performance The creation of the world is an Ordinary day e lavora al progetto curatoriale Rivista. Nel 2019 torna a Napoli e frequenta il CFI, Centro di Fotografia Indipendente, producendo la sua seconda serie fotografica dal titolo Prosféro, che indaga il valore delle radici e dell’atto del tramandare. Attualmente continua gli studi universitari in ambito antropologico con l’intento di arricchire di contenuti la sua pratica fotografica.
Durante lo svolgimento del festival saranno proposte tavole rotonde con l’obiettivo di restituire la dimensione di collaborazione e scambio tra realtà nazionali e internazionali del progetto e rinnovato l’appuntamento con il Premio Giovane Fotografia Italiana, istituito con il sostegno dell’azienda Reire srl. con l’obiettivo di sostenere e finanziare la ricerca e la produzione artistica under 35, che verrà assegnato al migliore progetto artistico individuato tra i sette finalisti.
Giovane Fotografia Italiana è promossa da Comune di Reggio Emilia e Comune di Cortona in collaborazione con GAI. Associazione per il circuito dei Giovani Artisti Italiani, Fotografia Europea, Circulation(s) Festival de la jeune photographie europeénne, Paris; Photoworks Festival, Brighton; Festival Panoràmic – Granollers, Barcelona; Cortona on the Move.
Co-finanziato da Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale e ANCI.
Con il contributo di Regione Emilia-Romagna, nell'ambito di “Emilia 2020-2021”, e Reire srl.