La danza dei sette veli
La danza dei sette veli
La galleria si trasforma nella corte di Erode, dove il rumore del desiderio sessuale copre ogni altra cosa, il suono stridente dell’accusa di immoralità diventa voce di trasgressione che si trasforma nel desiderio della morte stessa, della carne e del sangue. Il tutto è reso esplicito, impossibile distogliere lo sguardo dalla realtà che non vede possibilità di redenzione dall’essere materia pura. Posizioni sessuali che evocano i desideri scaturiti dall’immaginario dei personaggi di Erode e Salomè si impongono allo spettatore con prepotente chiarezza.
Dietro all’elemento più palese dell’erotismo si nasconde la verità di una vicenda a metà tra drammaturgia e realtà storica che identifica in Salomè il simbolo della più perversa lussuria e della spregevole necrofilia, percorso o declino di un sentimento deviato dalla strumentalizzazione da parte della madre Erodiade, che trova così il suo cammino libero per proseguire nel suo peccaminoso matrimonio con Erode, a sua volta grande carnefice, che sotto la maschera del giustiziere elimina il bene e il male senza distinzione di sorta. L’artista interviene direttamente sulla superficie della galleria. Dando sfogo al gesto spontaneo del disegno, avvolgendo lo spettatore con le immagini che scaturiscono dalla giovane mente di Salomè. Grigoryan interagisce non solo con lo spazio, ma anche con il gruppo della Galleria 291, che mette in scena il dramma attraverso un’istallazione che colloca ogni frammento dell’artista in una rete di sguardi, riportando gli elementi in una dimensione teatrale.