Il segreto del cardellino

Il segreto del cardellino

 

Il segreto del cardellino.

La Sila è davanti ai miei occhi. I pini secolari, le camelie e le spighe di grano sembrano gioire al cinguettare dei merli. Mi ritrovo come ogni giorno, seduta sul mio dondolo, con la coperta di lana, e le calze a stringermi le gambe. Tra le mani, il lavoro ai ferri iniziato un giorno fa. La bavetta che voglio fare sarà per mio nipote. Il non stare mai ferma è quello che voglio, anche se per Angelo dovrei solo guardarlo dalla veranda, mentre lui, a ottant'anni raccoglie pomodori sotto il sole d'Agosto cocente. Se mi guardo allo specchio so che non sono più Assunta. O meglio, so che da quando la mia pelle era liscia al solo tocco di palmo son passati ben 50 anni. Oggi sfiorando il mio volto da signora sento piccole grinze districarsi tra le dita. Non mi rammarica non avere più vent'anni. La mia tristezza sta nel fatto che non posso più vivere momenti felici come sono stati quelli che mi sono lasciata alle spalle. Ricordo ancora la mia mamma essere una donna fredda e attenta all'onore delle sue quattro figlie. Ad Acri dove sono nata, l'unica persona con cui una ragazza poteva rimanere da sola era il parroco. Quella figura a cui tutti regalavano segreti. Il non aver frequentato le scuole all'epoca mi faceva male ma accettati con piacere il lavoro di aiutante presso la sarta in paese. Andavo spesso a trovare papà nei campi. La persona più importante della mia vita. Lo aiutavo e poi me lo trascinavo fino a casa. In quelli anni la solita routine non ci faceva paura. La mattina ti alzavi e sapevi già quello che avresti fatto nei prossimi minuti. Per noi, figli di contadini, le possibilità non erano tante. Le ragazze o diventavano le sarte delle donne più agiate o casalinghe. Gli uomini lavoravano nei campi o si arruolavano lontana da casa. Non c'erano molte scelte ma la vita la ricordo essere spensierata. A sedici anni avevo un'idea dei ragazzi offuscata e acerba. Non convinta che ci potesse essere qualcuno che mia madre poteva far avvicinare a me, giravo nel paese con le mie gonnelle colorate sicura del fatto che nessuno mi avesse mai notata e che nessuno lo avrebbe fatto in futuro. Se mai ci fosse stato qualche giovanotto intraprendente, avrebbe dovuto affrontare lei, che lo avrebbe sottoposto a interrogatori e solo dopo gli avrebbe permesso di vedermi. Magari per accompagnarmi a messa la Domenica. In realtà c'è ne furono molti di coraggiosi, ma prima che potesse arrivare quello che oggi è al mio fianco passò un anno. E dovetti combattere per dire “No” ad altri pretendenti. Ricordo i primi che si fecero avanti. Uno era il tipico ragazzo imbranato che a papà non piaceva. Il secondo era rozzo, puzzolente e baffuto, figlio del boscaiolo. Mamma per non fargli un torto, accettò la sua richiesta di potermi accompagnare il giorno dopo. Le mie grida di disapprovazione quella sera svegliarono tutto il vicinato. Mio padre la mattina seguente, al presentarsi del giovane speranzoso, lo rimandò via con due parole. “Mia figlia non fa per te”. Vennero poi un uomo di dieci anni più vecchio di me, il figlio del macellaio che offri carne a vita pur di avermi, il nipote del panettiere, basso, tozzo e balbettante. In quell'anno pensai di voler morire. Poi la luce. Dopo tanta attesa il sorriso. La novità. Non l'avevo mai notato, sbadata com'ero. Eppure abitava con i fratelli e la matrigna dietro l'angolo della mia casa. Quando lo incontrai quella mattina era tardi. Al lavoro mi accompagnava mio fratello. Lui dietro e io avanti, correvo per le viuzze. “Vai piano Assunta. Vai piano” mi gridava. Appena svoltai l'angolo provai un dolore alla spalla. Non capii bene contro cosa urtai. Poi alzando gli occhi mi persi in un nero bellissimo. “Scusa”. Volevo sprofondare dalla vergogna. “Stai attenta che le pietre sono bagnate. Si scivola”. “Buongiorno Angelo”. Mio fratello doveva conoscerlo.

Ricordo quel momento come non mai. I respiri, i profumi, i suoi occhi. Fu la prima volta che provai un senso di spudorato stordimento. Non potevo che aspettare qualche sua mossa. Che il tempo dell'amore fosse arrivato anche per me? Illusa,cercai di non pensarci. Passarono due mesi. Il natale era alle porte e le mie speranze di rivederlo erano sepolte. Una mattina qualcosa cambiò. La ricordo essere come la più fredda dell'anno. Una mano bussò alla porta. Mi affacciai dalla mia stanza incuriosita. “Buongiorno Don Vincenzo”. Era lui.

“La mia famiglia le manda questi” Un cesto di mele rosse fu adagiato sul tavolo.

“Ringrazia tuo padre. Ti vuoi accomodare? Entra”.

“No grazie. Vado a prendere la legna. Buonanotte Don Vincé. Buonanotte Assunta”. Mi ritirai. Che vergogna! Mi aveva vista spiarlo come una ragazzina. “Non ti sarai presa una cotta spero”. Mamma riusciva a far crollare i dolci castelli di fantasia che costruivo con pazienza. La mattina dopo le emozioni non si fecero desiderare. Era una partita ancora tutta da giocare.

“Signorina lo sa che un'ospite non si spia?” Le sue parole erano pacate.

“E tu non lo sai che è maleducazione rifiutarsi di entrare in casa quando il padrone lo chiede?”

“Se la figlia del padrone di quella casa non mi avrebbe spiato sarei anche potuto entrare”. Mi reggeva il gioco in modo perfetto.

“posso accompagnarti?”

“Devo passare prima dal fruttivendolo. Se vuoi comunque si”. Ero sicura che avrebbe cambiato idea. Negativo.

“guarda che stavo scherzando! sei pazzo? Non puoi venire”

“E perché?”

“Non c'è bisogno che te lo spiego. La conoscono tutti il guardiano del faro”

“Tua madre?”. La mia disapprovazione lo convinse.

“Almeno fino a dietro l'angolo posso accompagnarti?”. Come dirgli di no?

Camminammo in silenzio. Il suo sguardo lo sentivo incombere con forza su di me.

“Grazie sei stato molo gentile. Ci vediamo”. Non sapevo cos'altro dirgli. La sua mano mi fermò.

“Assunta aspetta volevo chiederti se ti va di uscire qualche volta. Lo chiedo a tua madre ma tu ci vieni con voglia se lei ti da il permesso?”. Bum. Bum. Bum.

“Se glielo chiedi ci vengo volentieri”. “Grazie. Sono molto contento”. La sua mano morbida sfiorò la mia guancia rossa. Sfacciata alzai le punte dei piedi e gli baciai la sua. Mi voltai e corsi verso casa. Quando mi richiusi la porta alle spalle capii che da li partiva la vita. Ero finalmente nel cuore di qualcuno.

“La vedi quella montagna?” Il dito indicava distese verdi della Sila mentre le altre giocavano con la mia gonna. “vorrei costruirci una casa li. Nel verde avrebbe tutto un suo fascino. Cosa ne dici?”.

“Il punto non è la casa. É che devi trovarti una brava ragazza per mandarla avanti. Una che con i fornelli va alla grande”

“Perché non l'ho già trovata?”

“Non mi sembra. Mi sono persa qualcosa?”mi divertiva stuzzicarlo. Mi abbracciò. La voglia di stringerci fino a morire era grande. Le coccole non bastavano. In quell'istante ci poteva essere tutto tranne che l'incertezza. Non avevamo spazio per pensare. Mi sentivo come una bimba stretta nella morsa del fiore più bello. Per la prima volta qualcuno riuscì a rendermi felice. Il nostro primo bacio fu naturale,paziente,eccitato. Due lingue si dichiaravano guerra. Non conoscevamo l'amore ma la scoperta che ne facemmo insieme fu il dipinto più colorato della nostra storia. Due mesi dopo ci fidanzammo ufficialmente. Quando partì militare per me fu come morire. Alla stazione baciò solo le mie lacrime. Nei due anni a seguire le sue lettere scaldavano quel cuore che si stava raffreddando per un'assenza troppo lunga. Il vestito da sposa attendeva impaziente. Il giorno delle nozze arrivo dopo tre mesi dal suo arrivo. Il candore di quel giorno fu così unico tanto che il paese lo ricorda come il più bel matrimonio di sempre. Alla sera consumammo quell'amore nascosto e ancora acerbo. Quello che a ventidue anni vuoi cullare fino in fondo. Due giovani corpi si stavano amando, intrecciandosi. Il contatto delle lisce pelli rallegrarono la notte forte. Il dolore di una prima volta lasciava spazio alla scoperta. Ormoni impazziti e gemiti di piacere si confondevano nella stanza buia. La notte distrusse lievemente il mio essere bambina. La vita adulta ci chiamava a gran voce. Adorai ogni secondo che ci vide uniti. Insieme conoscemmo il piacere. Nel letto, abbracciati con la voglia di ricominciare, il suo animo mi regalò un nuovo motivo per vivere. Un cardellino si dischiuse tra le mie mani. Un'ala fasciata gli impediva di volare. “L'ho curato nei mesi che siamo stati lontani e ogni volta che mi mancavi gli parlavo. Sa tutto di te. Più di quello che so io di noi. É tuo. Ti prometto che guarirò tutte le tue ferite. Proprio come ho fatto con lui”. Partita vinta.

Quel regalo bello è ancora con me. Chiuso nella sua gabbia da forsennati anni. Mi affaccio dalla terrazza di quella casa realizzata e vedo una schiena curva affaticata. Lo sguardo di uomo anziano mi scruta bene. Il suo saluto con la mano mi ritorna familiare.

“Ciao Assunta”. La voce dell'amore è sempre con me.