Come vento per il grano.
Come vento per il grano.
”Per conquistare il futuro bisogna prima sognarlo”, diceva B. Pascal. Ma sognare cosa precisamente? Con quanta intensità? Per quanto tempo? Come le medicine? Prima o dopo i pasti? E quante volte al giorno? A testa piena? Futuro significa momenti, immagini, sogni, lontananze. E’ così avverso, così distante e alle volte così vicino al presente. E il presente? Il presente ha relazioni con il futuro? In fondo è stato anch’esso sogno, una volta. Cos’è che si conquista poi? Bisognerebbe analizzare attentamente la parola “futuro”, decontestualizzarla, capirne il reale significato. Prenderla, metterla sotto processo, puntarle una di quelle luci al neon e finalmente interrogarla, chiederle con prepotenza cosa si aspetta da noi, cosa vuole farci capire, in che modo cerca di stimolarci. Facciamo male a trascurare il futuro? La vera domanda che dovremmo porci. Tutti sembrano pensarci, affannarsi, lottando per condizioni migliori, ma sembra che nessuno sia veramente coinvolto e stimolato da un presente prossimo, che farebbe da base, da punto di partenza per iniziare la marcia. Tanti giovani, oggi, lottano per un futuro senza rendersi conto che bisognerebbe essere ben armati di cultura e passione, prima di sentirsi spiriti inquieti e rivoluzionari senza che esista una ragionevole rivoluzione . Come uomini in guerra, ogni giorno, siamo dilaniati da un continuo dilemma esistenziale tra presente e futuro, tra “vorrei ma non mi è consentito”, tra “cerco ma non trovo” . Vorremmo soltanto la consapevolezza della sua esistenza per tentare di conquistarlo, vorremmo diventasse finalmente concreto traguardo, per innamorarci di un avvenire possibile. Noi vorremmo timoni, ma chi ci offre concretezze? Il sogno di partecipare ad una sfilata di moda o le tante giovani donne Onorevoli, in rosso-giacca, molte delle quali vengono retribuite per fare, più o meno, lo stesso mestiere? Perché nessuno ci da realistiche motivazioni? Il tanto agognato traguardo che finalmente ci permetterebbe d’andare avanti con fiducia e con sicurezza in una società che, seppur costruita su basi voraginose e caotiche, ci possa dare speranze concrete o significative certezze, capaci di farci crescere e stabilizzarci interiormente. Viviamo d’aritmie cardiache e le pulsazioni aumentano ritmicamente quando, ogni volta, percepiamo e ci illudiamo di toccare con mano ciò in cui speriamo. Siamo disperatamente giovani in cerca di qualcosa che riesca pienamente a darci sensazioni vive e vivificanti. Il difficile è trovare la strada prima d’aver perso il vigore. Adesso siamo affamati, desideriamo mordere la speranza, unico cibo di cui possiamo facilmente nutrirci, ma, a volte, è la fame che ci finisce e ci spinge in un vortice infinito che gela i nostri spiriti in modo da renderci lontani e inaccessibili a noi stessi, chiusi, arginati dalle nostre stesse paure. Cercando una conclusione ci poniamo alcuni interrogativi: come possiamo davvero conquistare il nostro futuro? Come potremmo mai calmare il nostro insano appetito verso ciò che desideriamo? Non so dare risposte concrete, non so parlare compiutamente di futuro, io che non ho ancora neanche un presente che mi dia sicurezze. “Studentessa e molto probabilmente futura precaria in perenne ribellione” è ciò che attualmente mi si prospetta. Io, ragazza di appena diciotto anni, prigioniera forse di un destino già programmato da una società che mi considera per giunta futuro del Paese ma che non me lo rende accessibile. L’assillante pensiero di non riuscire non mi permette di vivere serenamente l’attimo che sto vivendo. Il futuro è costituito anche da tasselli di presente necessari per conoscerlo e quindi conquistarlo, per cui dovremmo sforzarci di pensare cosa è meglio fare oggi, che è già diventato ieri, sapendo che non c’è tempo, perché alcuni traguardi non possono aspettare. Resta soltanto la “speranza”, intesa quasi come “fede” ,in questo mondo che pullula di energie potenziali che non hanno, però, sufficiente propellente per intraprendere il viaggio verso la conquista.